Binge Eating Disorder: i dati aggiornati e l’approccio evidence-based che sta cambiando la pratica clinica
- Paolo Patria

- 27 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Il Binge Eating Disorder (BED) è oggi il disturbo alimentare più diffuso. Eppure, nonostante la sua alta prevalenza, rimane spesso sottovalutato o non riconosciuto nella pratica clinica quotidiana.
Per i professionisti della salute che si occupano di nutrizione, psicologia e comportamento alimentare, comprendere a fondo questo disturbo è sempre più essenziale.
In questo articolo trovi una sintesi chiara e aggiornata su definizione, dati epidemiologici e, soprattutto, sulle evidenze legate al Mindful Eating, un approccio che negli ultimi anni ha mostrato risultati concreti e misurabili nella gestione del BED.
Che cos’è il Binge Eating Disorder (secondo il DSM-5)
Il DSM-5 riconosce il Binge Eating Disorder come un disturbo autonomo, distinto sia dalla bulimia nervosa che dall’obesità.
È caratterizzato da:
• ingestione rapida di grandi quantità di cibo;
• sensazione marcata di perdita di controllo durante l’episodio;
• forte disagio psicologico legato alle abbuffate;
• assenza di condotte compensatorie, come vomito autoindotto o digiuni estremi.
A differenza di quanto si creda, il BED non è semplicemente “mangiare troppo”: è un disturbo complesso, con profonde implicazioni emotive, interocettive e comportamentali.
Prevalenza: perché è così importante riconoscerlo
Le ricerche attuali mostrano una diffusione significativa:
• 2%–3,5% nella popolazione generale e 4% femminile
• fino al 30% tra le persone che richiedono trattamenti per la gestione del peso;
• forte comorbilità con disturbi d’ansia, depressione e storia di diete restrittive croniche.
È probabile che ogni professionista in ambito nutrizionale o psicologico si trovi a lavorare con pazienti che manifestano sintomi di BED, anche quando non vengono esplicitati apertamente per vergogna o senso di fallimento.
Perché il binge eating si mantiene: il modello clinico più attuale
I modelli contemporanei — sia cognitivi-comportamentali che emotion-focused — convergono su tre elementi che mantengono il disturbo nel tempo:
1. Disconnessione dai segnali interocettivi
La persona fatica a riconoscere e distinguere fame, sazietà, pienezza e segnali corporei sottili.
Questo la rende più vulnerabile al mangiare impulsivo o reattivo.
2. Difficoltà nella regolazione emotiva
Le abbuffate diventano una strategia di gestione emotiva, un tentativo rapido e automatico di ridurre tensione, ansia, noia o dolore emotivo.
3. Risposta allo stress e auto-giudizio
Il ciclo restrizione → abbuffata → colpa → nuova restrizione rappresenta un meccanismo di mantenimento potentissimo.
Interventi centrati sul controllo o sulla forza di volontà tendono a peggiorare il quadro, aumentando frustrazione e ricadute.
Mindful Eating: cosa dice la ricerca oggi
Negli ultimi dieci anni, diverse meta-analisi e studi randomizzati controllati hanno confermato l’efficacia del Mindful Eating nel trattamento del binge eating.
I benefici osservati includono:
Riduzione degli episodi di binge
I protocolli basati sulla consapevolezza riducono significativamente la frequenza delle abbuffate già nelle prime settimane.
Diminuzione di impulsività e fame emotiva
Il training di attenzione e presenza permette di riconoscere precocemente il trigger emotivo.
Miglioramento dell’intercezione
La persona impara a distinguere fame biologica, fame emotiva e automatismi.
Risultati mantenuti nel tempo
Gli studi follow-up a 6 e 12 mesi mostrano stabilità nel miglioramento, grazie al lavoro sulla consapevolezza e non sul controllo.
Perché funziona così bene?
Perché il Mindful Eating lavora su:
• presenza e autoregolazione,
• riduzione dell’automatismo,
• auto-compassione,
• maggiore flessibilità psicologica.
Non punta a “bloccare” il comportamento, ma a modificare il terreno su cui nasce.
Perché per i professionisti è una competenza chiave
Integrare un protocollo di Mindful Eating nella pratica clinica permette di:
• migliorare l’esito terapeutico nei pazienti con BED;
• intervenire in modo più efficace su fame emotiva e disregolazione;
• ridurre drop-out e ricadute;
• costruire interventi realmente multidimensionali, in linea con la letteratura moderna;
• ampliare la propria competenza e il proprio posizionamento professionale.
Oggi questo tipo di approccio è sempre più richiesto — sia dai pazienti che dal mondo sanitario — proprio perché supera la logica del controllo e del “mangiare meglio”.
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